Nessun rimborso, nessun rimpianto (o quasi)
Quando vorresti che il dolore finisse. E quando ti rendi conto che forse soffrire va anche bene. Una riflessione disorganizzata tra esperimenti mentali, Matrix e una storia vera: la mia.
Proprio qualche giorno dopo che tutto è successo ho avuto una discussione interessante con un amico. È durata meno di un minuto ma sì è stata interessante. Tra una birra e un’altra mi ha detto proprio così: certo che se ti sei scelto questa vita sei davvero un pirla!
Alla base, come mi ha spiegato prontamente, una visione intrigante e originale che a quanto pare ha appreso proprio di recente: siamo noi a scegliere la vita che viviamo.
Ho sorriso.
Ho intravisto nella sua battuta lo stesso humour di Groucho Marx. E quello ancora più pungente e vero della vita stessa.
Ho immaginato senza bisogno che lui entrasse nei particolari, un me in forma astratta, embrionale, senza volto e solo luce, in una situazione simile a quella di quando entri in un negozio per comprare un paio di scarpe. Solo perché devi, anche se comprare scarpe o qualsiasi altra cosa ti infastidisce e ti mette maledettamente a disagio.
Una cassiera celestiale (o di altra forma) a elencare le possibili opzioni. A chiedermi la taglia e i colori preferiti, il budget forse.
Qualcosa del tipo “abbiamo questa vita.. appena arrivata. Oppure questa che per adesso va tantissimo… La provi…”
E mi sono immaginato come un turista di fronte al mestierante del gioco delle tre carte che esclama con voce sicura (o rassegnata): “questa. Sì, punto su questa. “Prendo questa vita”.
“Vuole confezione regalo?”
“No è per me.”
No vabbè questo ovviamente non l’ho immaginato ma la situazione è talmente grottesca che non sono riuscito a risparmiare una battuta.
Ad ogni modo il punto è che pensare in questo modo, anche solo pensare al fatto che ci possiamo scegliere la vita che viviamo, è estremamente interessante.
Solo il fatto di costringerci a pensare.
A cosa sceglieremmo. Alle metriche che in effetti contano. A cosa per noi rende un vestito abbastanza buono, una vita abbastanza buona - Platone direbbe: degna di essere vissuta.
Al mio amico risposi con un sorriso. E un “eh già”.
La mia vita per chi non la conoscesse o per chi fosse arrivato su questa newsletter proprio oggi può sintetizzarsi così: bambino felice, orfano di padre, adolescente nonostante tutto felice, giovane adulto problematico con strani desideri di indipendenza e anticonformismo, padre abbastanza precoce, freelance precario (come quasi tutti in Italia), padre di altri due figli (e siamo tre), dichiarazioni dei redditi finalmente buone, abbastanza da ottenere un mutuo, comprare la casa dei suoi sogni, dove avrebbe vissuto con i suoi bambini e la sua compagna di sempre. E poi boom: tutto a rotoli, “mamma non c’è più”, per certi versi non c’è più nulla.
È abbastanza triste come storia? È abbastanza stupida la sua (mia) scelta?
Viene da pensare, come mi ha fatto notare proprio quel mio amico: ma quali erano le opzioni?
“Senzatetto con cane che a un certo punto lo abbandona?”
Beh in effetti… anche questa domanda ha del divertente e del sensato.
Al mio amico ad ogni modo risposi anche qui con un sorriso. E un “eh già”.
Ma solo per prendere fiato. La risposta in cuor mio l’ho sempre avuta. In realtà è stata anche la prima cosa che dissi ai miei bambini subito dopo aver dovuto dire “mamma non c’è più”.
Gli chiesi apertamente: sareste stati più felici se non areste mai avuto vostra madre e tutto questo?
E a volte sull'argomento ci ritorno pure.
“Eh già”.
Domande strane. Sensate e paradossali allo stesso tempo.
Ma interessanti. Costruttive credo. Salvifiche forse.
Experience machine: una vita senza dolore o una vita vera?
Nel 1974 il filosofo Robert Nozick, nel suo libro 'Anarchy, State, and Utopia', propose un esperimento mentale noto come 'Experience Machine'.
L'esperimento proponeva un dispositivo ipotetico in grado di simulare esperienze indistinguibili dalla realtà, a scelta dell'utente.
Detto semplice, la sfida risuonava così: immagina che esista una macchina in grado di fornirti qualsiasi esperienza desideri. Puoi scegliere di vivere la vita di un famoso musicista, un grande atleta, un celebre scienziato, ecc. Tutto ciò che devi fare è sdraiarti, collegarti alla macchina e vivrai tutte queste esperienze come se fossero reali. La macchina è così sofisticata che non riuscirai a distinguere tra l'esperienza reale e quella fornita dalla macchina.
Sceglieresti di collegarti a questa macchina per il resto della tua vita?
Una suggestione simile, che per molti suonerà familiare, la si trova in Matrix.
Qui, per chi ha familiarità con la saga, Cypher rappresenta la scelta edonistica: il piacere prima di tutto, anche se completamente irreale.
A ristorante, seduto di fronte all’agente Smith, si gusta una bistecca per quanto “simulata” e detta le condizioni dell’accordo.
Agente Smith: Allora abbiamo un accordo?
Cypher: Non voglio ricordare nulla. Niente. Capisci? E voglio essere ricco. Sai, qualcuno di importante, come un attore.
Agente Smith: Qualunque cosa desideri, signor Reagan.
Cypher: Va bene. Riporto il mio corpo in una centrale elettrica, tu mi inserisci in Matrix, ti prendo quello che vuoi.
Neo, l’eroe del film, sceglie invece una strada completamente opposta: la realtà prima di tutto. Lui e un manipolo di “resistenti” sono quelli che scelgono la pillola rossa e il viaggio verso la tana del bianconiglio.
Ma fuori dal film, cosa sceglierebbe la gente? Cosa sceglieremmo?
Secondo Nozick, l’autore dell’esperimento mentale, la risposta sarebbe no.
Non siamo come pensiamo così interessati al piacere. L’edonismo conta ma fino a un certo punto. Desideriamo non solo vivere esperienze ma vivere esperienze che sanno di reale, che siano reali.
Contrariamente a tante teorie che ci vedono come esseri in cerca di massimizzare il risultato, siamo quasi tutti interessati al modo in cui ci guadagniamo il premio. Siamo attratti molto più dal percorso che dalla meta.
Dal brivido che si prova nel raggiungere gli obiettivi. E anche dal brivido che si prova nel mancarli, ma almeno averci provato veramente.
A confermarlo c’è un altro esperimento più o meno simile raccontato da Kahneman in Pensieri lenti e veloci: vacanze amnesiche.
Kahneman lo introduce così: “Alla fine della vacanza, tutte le foto e i video saranno distrutti. Inoltre, berrai una pozione che cancellerà tutti i ricordi della vacanza. In che modo questa prospettiva influenzerebbe i tuoi piani per le vacanze? Quanto saresti disposto a pagare una vacanza del genere, rispetto a un’altra normalmente memorabile?”
La risposta, secondo Kahneman, si allinea a quella di Nozick: le persone sceglierebbero il ricordo all’esperienza, la realtà al piacere.
“Alcune persone dicono che tratterebbero se stesse come tratterebbero un altro smemorato, e sceglierebbero di massimizzare il piacere generale tornando in un posto in cui sono state felici in passato. Altre, invece, dicono che non si disturberebbero neanche a partire, rivelando di provare interesse solo per il sé mnemonico, e di provare per il loro sé esperienziale amnesico ancor meno interesse di quello che proverebbero per uno sconosciuto amnesico. Molti osservano che non scalerebbero montagne e non farebbero trekking nella giungla, né spingerebbero a imprese del genere alcun altro smemorato, perché quelle esperienze sono perlopiù dolorose in tempo reale e acquistano valore solo quando si pensa che tanto il dolore quanto la gioia di raggiungere l’obiettivo saranno memorabili.”
Nessun rimborso, nessun rimpianto (o quasi)
78 giorni dopo quella sera, mi trovo spesso a tornare su questo genere di domande.
“Sono stato un pirla a scegliermi questa vita? (se davvero è andata così…) Baratterei tutto ciò che ho avuto per una vita fatta di sola felicità e senza dolore, per quanto falsificata?”
Oppure, navigando con la fantasia, immaginando una macchina in grado di eliminare i ricordi, come nel film di Jim Carrey in “Se mi lasci ti cancello”, avrebbe senso eliminare i ricordi e la sofferenza se fosse possibile?
Ci penso spesso. Quasi ogni sera. Quando i bambini sono andati a dormire e la casa diventa silenziosa, troppo silenziosa. Maledettamente silenziosa.
Quando mi trovo a passeggiare per casa e ogni cosa mi ricorda Lei e quello che sarebbe potuto essere.
Quando ogni cosa che vedo, una tazza, un tagliere, una bottiglia di vodka, mi ricorda tutto ciò che sarebbe potuto essere in una versione alternativa della storia. E fa male. Come sbattere il mignolo nello spigolo. Più e più volte.
Ci penso.
E la risposta cambia spesso.
A volte mi verrebbe da dire “ma sì fanculo”. “Toglietemi questi ricordi e questo dolore”.
Come diceva Rocky al figlio confidando le sue paure quando i match si facevano duri. A volte come lui vorrei solo che mi beccassero sul mento per non sentire più nulla.
Altre volte invece resisto. Ho un sussulto di indipendenza. Di resistenza. La consapevolezza che soffrire fa parte del gioco. Che, tornando a Rocky, fare un altro round quando non pensi di farcela, fa tutta la differenza del mondo.
La maggior parte delle volte però non mi lascio neanche prendere dalle ipotesi e dalle suggestioni. C’è solo la realtà delle cose. Il fatto che non possiamo fare nulla, che la vita ce la siamo scelta sì ma non a tavolino. E quel che possiamo fare è solo reagire a quello che ci capita.
Anche questo lo diceva Rocky. lo dicevano gli stoici. Lo diceva uno che di dolore se ne intendeva eccome. Victor Frankl, padre della logopedia, uno che aveva visto sterminare la propria famiglia e aveva vissuto per anni in un campo di concentramento nazista.
Diceva: “Il senso della vita non è non è che la vita sia alla tua altezza, ma piuttosto che tu sia all'altezza della vita che ti capita”.
A volte mi sento più Victor che Rocky.
E quando ci penso mi fa ancora più male.
Ma il punto non è questo. Il punto è che non mi sento affatto un pirla - tornando alla domanda di partenza.
Penso di aver deciso bene. Aver giocato bene le mie carte. Essere solo incappato in una sequenza sfortunata.
“Vabbè, è andata così”.
Tanto, che abbia ragione io con la mia visione cinica e razionale o il mio amico che crede che la vita ce la scegliamo prima, non cambia molto.
Non ci sono rimborsi. Semmai rimpianti. Quelli sì.
“Nessun rimpianto” è un motto figo per farsi un tatuaggio.
Che poi ho scoperto che 1 una persona su 5 lo rimpiange e corre a farselo cancellare. Solo negli Stati Uniti l’industria della cancellazione dei tatuaggi è un affare da 100 milioni di dollari.
“Nessun rimpianto” è un motto efficace per (fingere di) guardare avanti, far spallucce, far finta che controlliamo tutto anche se è chiaro che non è così.
I rimpianti invece ci sono eccome. Fanno parte del gioco. E non sono neanche così malvagi.
Secondo Daniel Pink, che ha scritto un libro proprio sull’argomento, ci aiutano ad evitare di scegliere altrettanto male per il futuro.
Ma ancora più importante secondo me, ci dicono, a posteriori, se ne è valsa la pena.
Ecco, forse il punto di tutto ciò che ho scritto, di questo sproloquio, potrebbe essere questo.
Siamo abituati a giudicare tutto dal risultato finale. A essere condizionati dalle “fini”, dall’epilogo, da come poi è andato tutto. Ci dimentichiamo come ci siamo sentiti durante il viaggio.
Siamo abituati a scegliere per evitare rimpianti futuri. Ma a farlo credendo che i rimpianti siano esattamente uguali ai rimorsi (e no, non lo sono!).
Siamo cioè abituati a scegliere per evitare domani di girarci indietro, vedere che il lieto fine non è come quello che immaginavamo, e dire “cazzo sono un pirla"… dovevo fare diversamente”.
Mentre la strategia ottimale, almeno per noi umani, dovrebbe essere un’altra: augurarci domani rimpianti felici.
Presentarsi al momento “no”, quello dove i piani vanno a farsi benedire, quando tutto va storto, quando il dolore fa capolino nelle nostre vite, e dire “sì è una merda ma ne è valsa la pena”.
Ecco qui. Ecco tutto.
Se mi hai fatto compagnia sin qui, questa è la risposta che darei oggi a quell’amico.
Questo è ciò che mi tiene a galla, almeno un po’, quando la sera arriva e la casa si fa così silenziosa. Troppo silenziosa.
Questo è il mio racconto di come sto adesso.
Per chi lo voleva sapere.
Per chi si è iscritto a questa newsletter per dirmi “no, non sei un’idiota” e farmi sentire meno solo.
Ma penso possa esserci anche dell’altro.
Penso che queste riflessioni, magari organizzate e ripulite, possano servire anche in circostanze normali. Quando la tua vita è ancora in pista, quando il grande dolore non ha fatto ancora capolino. Eppure tutto sembra fare schifo.
Ecco, in queste circostanze, penso possa valere farsi quella domanda lì: questa vita se te la sei scelta, sei un pirla?
Quasi sempre la risposta sarà no.
Ne è valsa la pena. Ne vale la pena.
Anche se magari per adesso gira male.
Ma se ne vale la pena va già bene.
Fare un altro round fa tutta la differenza.
Vero batte falso.
Il dolore e la sofferenza, di qualunque grado e genere, le sfide insormontabili, sono il costo di chi prova a vivere davvero.
Perché infatti, un attimo fa, prima di terminare questo pezzo, ho voluto chiedere a ChatGpt: “hai mai sofferto un dolore così grande?”
Mi ha risposto “fortunatamente no…”
Ma ha anche detto che in “vita” sua non ha mai PROVATO niente.
Soliti aggiornamenti e cose extra
Pensavo di farcela.
I primi giorni ho risposto in maniera energica. “Sorprendente e innaturale” per molti che mi erano vicino. E avevano ragione loro.
Da un paio di settimane sto vivendo uno di quei (naturali e schifosi) momenti down. Incide anche nella pubblicazione di questa newsletter: pensavo di scrivere circa tre volte al mese, probabilmente arriverò a due.
Indice anche altro su questa newsletter. Il fatto che, come detto, spesso mi sento un idiota. È molto sottile la linea tra uno sfogo e una riflessione nella mia situazione.
Ad ogni modo ci provo. Cerco di condividere come mi sento, ciò che sto imparando o che almeno mi pare possa essere interessante anche per chi legge. Per chi vive o ha vissuto un momento simile. Per chi ha la “fortuna” di poterci pensare prima che succeda…
Come sempre, grazie per fare parte di questo viaggio. E, se ti va, puoi anche fare qualcosa in più.
(…dove si parla del non farmi sentire un idiota, e fare qualcosa in più…)
Ci sono quasi duemila persone che leggono questa newsletter. 🙏
È qualcosa di pazzesco, considerando anche i numeri di chi non solo ha cliccato “iscriviti” ma si prende davvero il tempo di leggermi. E molto spesso di rispondermi.
Come spesso ho detto e amo ripetere: mi fa sentire meno idiota nel condividere pubblicamente la mia vulnerabilità.
Se vuoi fare qualcosa in più, ecco come:
👉 Sottoscrivendo un abbonamento
Puoi sostenere la mia newsletter via Substack con un abbonamento. Però ci tengo sempre e subito a dire che ad oggi non so mai con quanta costanza riuscirò a scrivere. Però, boh… magari questo è un modo proprio per assicurare continuità.
👉 Con una donazione libera - una tantum, non ricorrente.
Un gesto non vincolato da obiettivi specifici o promesse di ricompensa.Un sostegno diretto, semplice e sincero. Per chi vuole dare una mano e per chi apprezza le mie riflessioni ad alta voce.
Se ti va, puoi farlo da qui.
👉 Spargendo la voce
Ci sono anche diversi modi gratuiti ma altrettanto potenti per darmi una mano:
Consigliare questa newsletter se anche tu ne scrivi una su Substack
Condividere questa newsletter con qualcuno che ritieni possa apprezzarla
Ti seguo e vado un pò random.... Ognuno ha i suoi lutti e ognuno ha le sue epifanie, nel mezzo una tonnellata di distrazioni più o meno importanti che definiscono la vita che stiamo vivendo... Capire ciò che è giusto ciò che è sbagliato, capire se tutte le scelte che abbiamo fatto sono state consapevoli è impossibile. Fare scelte consapevoli ogni tanto o spesso, essere resilienti, essere focalizzati e costanti fa sicuramente la differenza nel lungo periodo ma quanti di noi veramente lo fanno oppure quanto ha valore riconoscere di essere dei mediocri consapevoli rispetto ad essere degli zombie senza domande che alla fine pensano di essere i migliori...
Sono intorno a me, ma non parlano con me
Sono come me, ma si sentono meglio
I rimpianti non servono a nulla a meno che non li trasformiamo in qualcosa di positivo, cioè un'insegnamento di quello che non vogliamo si ripeta, chiaro se tutto ciò è ripetibile; molto spesso lo è... Cancellare i ricordi? Gli zombie non mi piacciono nemmeno nei film
Seguo le tue citazioni e ne aggiungo alcune che mi sono venute in mente leggendo:
"life is a rollercoaster" ronan keating
La corsa è lunga e, alla fine, è solo con te stesso. The Big Kahuna
tante cose ci vengono tolte
ma questo fa parte della vita
però tu lo impari
solo quando quelle cose le cominci a perdere
Any given sunday
You can't connect the dots looking forward; you can only connect them looking backwards. So you have to trust that the dots will somehow connect in your future. You have to trust in something - your gut, destiny, life, karma, whatever. Steve jobs
Pedala – insegui la tua storia ovunque vada
Pedala – macina chilometri di strada
Pedala – l'hai voluta tu la bicicletta
Pedala – più in fretta
Frankie Hi NRG
I bimbi come stanno?
Scelte giuste, scelte meno giuste: fanno parte del gioco, entrambe. Opinione personale, da (ex) mototurista mi sento di sottoscrivere il concetto che il viaggio conta più della meta - anche quando vuoi andare da Bologna su fino all'Izoard sapendo che ti aspettano tre ore almeno di autostrada sotto il sole di questi giorni.
Capisco anche la tentazione della pillola azzura e non mi permetto di giudicare chi la sceglie - ognuno di noi decide come viversi la vita ;)