"Mamma non c'è più"
Su una linea temporale abbastanza lunga, il tasso di sopravvivenza di tutti scende a zero. Anche quello di una mamma.
C'è quella frase, da Fight Club. Ogni tanto me la ripetevo, quasi per esorcizzare qualcosa: su una linea temporale abbastanza lunga, il tasso di sopravvivenza di tutti scende a zero. Cruda, matematica, ineluttabile. Te la dici, pensi di averla capita. Poi, ovviamente, la vita ti dimostra che capire non serve a un cazzo quando quella linea smette di essere "abbastanza lunga" e diventa spaventosamente, insopportabilmente breve.
Non lo sai mai. Non sai la lunghezza della tua linea, né quella di chi dorme accanto a te, di chi ti chiama "papà", di chi ti passa il sale a tavola. Giochiamo a fare gli immortali, ci incastriamo in dibattiti che sembrano capitali – l'ultima polemica social, il lavoro che non gira, la politica che ci delude. Roba seria, pensiamo.
Poi, un attimo. Sei lì, magari con una birra in mano, a pianificare un futuro che finalmente sembra prendere forma, a pensare "dai, forse ci siamo". E l'attimo dopo sei davanti alla porta chiusa di una rianimazione, con un freddo addosso che non dipende dalla temperatura. Un altro attimo. Una ragazza gentile, un medico con gli occhi stanchi, ti dice che c'è stato un problema. Che stanno provando "manualmente". Massaggio cardiaco. Parole che senti come ovattate, distanti. Un altro attimo ancora. "Si accomodi, dobbiamo parlarle." L'ultimo attimo. Il "fine". Non c'è più niente da fare. La linea si è interrotta. Lì. In una serata qualunque, di pioggia. Anche se avevi mille piani, anche se non era previsto nel copione.
Era Tilli. La mia compagna. Quarantadue anni. Venti passati insieme, fianco a fianco, nel casino quotidiano, nelle risate, nei silenzi, nelle avventure piccole e grandi che costruiscono una vita. La madre dei miei figli. Nicolò, Giorgia, Camilla. Quattordici, dodici, cinque anni oggi. Loro, a quella linea temporale che si spezza senza preavviso, non ci avevano mai pensato. Come potrebbero?
È toccato a me. Spiegare l'inspiegabile. Farlo alle quattro del mattino, rientrando in quella casa improvvisamente enorme e silenziosa, dopo averla lasciata su un lettino d'ospedale. Solo. Loro che scendono le scale, assonnati. "Papà, tutto bene?" E io, con la bocca secca, tiro fuori le parole più semplici, più vere, più devastanti: "Mamma non c'è più." Non ci credono. Ovvio che non ci credono. Nessuno ci crederebbe. Della linea che si interrompe, loro non sapevano nulla.
Memento mori. Ricordati che devi morire. Un classico, roba da stoici, da tatuaggi un po' macabri. Palahniuk l'ha solo resa più pop. Sembra una frase fatta finché non ti riguarda da vicino.
Dovevo farmelo tatuare, quel memento mori. Glielo avevo promesso, a Tilli. Un fioretto, un segno per celebrare un traguardo che sembrava impossibile anni fa: la casa nuova. Quella villa in campagna, la nostra piccola conquista, il posto dove immaginavamo il futuro. Ci eravamo riusciti da poche settimane. "Allora, l'hai scelto il tatuaggio?" mi chiedeva. "Sì, memento mori," le avevo detto. Lei aveva sorriso, forse trovandolo un po' cupo, ma conosceva la mia fissa.
Chi mi segue sa che non è un pensiero nato oggi. È qualcosa che ho sempre cercato di tenere lì, come un sasso in tasca. Costruirci intorno la vita, il lavoro. Non come una condanna, ma come un invito a scegliere. A dare il giusto peso alle cose. Ho smesso da tempo di inseguire solo metriche di business, fatturati, visibilità fine a se stessa. Ho provato a parlare d'altro: di come vivere una vita che abbia senso per noi, e poi, semmai, costruirci intorno un lavoro sostenibile, non il contrario. Sembrava un discorso un po' naif, forse. Oggi mi sembra solo pragmatico. Terribilmente pragmatico.
Ai ragazzi cerco di dirlo, come posso, tra una richiesta di gioco e l'altra, prima che mi mandino giustamente a quel paese. L'importanza di goderseli, i momenti. Quelli belli, ma anche quelli storti. E l'importanza di averli avuti, quei momenti. Di aver costruito ricordi veri.
Guardandomi indietro, oggi, in mezzo al dolore, una cosa mi dà un minimo di pace: aver vissuto questi vent'anni mettendoci al primo posto. Noi, la famiglia, il tempo insieme. Anche quando significava dire no a un'opportunità di lavoro, guadagnare meno, sembrare meno ambizioso agli occhi del mondo. Un amico una volta mi disse che mi stimava per questo "coraggio" di non adeguarmi, di costruire attorno ai miei limiti, alle mie priorità. Allora mi fece piacere. A volte invece è stato un tarlo "beh potrei fare di più..." Oggi è un pensiero a cui aggrapparmi. Anche se, a volte, proprio la felicità passata rende il presente ancora più pesante.
Su una linea temporale abbastanza lunga, il tasso di sopravvivenza di tutti scende a zero.
Ho letto tutto d'un fiato ❤ meraviglioso..credo che tu Davide sia una persona eccezionale e ancora grazie per tenerci aggiornate tante di noi non aspettavano altro...Anzi in cuor mio sapevo che prima o poi sarebbero arrivate notizie dei bambini ❤❤❤ Ancora Grazie 🙏 Italia chi la scordera' più 🥺 fantastica Donna e Mamma..
Piango con voi, Italia era una donna vera, anzi verace, bella dentro. Ci ha fatto entrare nella sua vita con gioie e dolori ed ora e' difficile uscirne. Penso a lei, ai vostri bimbi tutti i giorni. Un abbraccio grande e grazie per renderci ancora partecipi ♥️