Una newsletter che parla di cose delle quali nessuno vuole (apparentemente) parlare. Di cose che ti lasciano senza fiato. Di vita, morte, lutto, amore. Di perdite e conquiste. Di umani che non sono affatto forti, perfetti, invulnerabili, ma nonostante tutto provano ad andare avanti.

"Guardare l'abisso" (Come è iniziato questo viaggio)

"Oddio, ce l'abbiamo fatta davvero!"

Aprile 2023, mattina, tavolo grande in legno massello, lo studio di un notaio. Fingo di leggere con attenzione ma in realtà non ho affatto la lucidità per riuscirci. Vedo solo numeri, lettere, ma non riesco a metterne a fuoco il senso. Guardo ma non vedo.

"Firma qui."

È l'atto di compravendita di una casa. La nostra casa. Quella che abbiamo sognato dal primo momento insieme, vent'anni prima. Anzi, molto più di quanto avessimo mai sperato. Eravamo partiti da un garage, letteralmente. Uno stanzone di una cinquantina di metri quadri con una saracinesca all'ingresso e una, non si è mai capito il motivo, tra l'ingresso e quella che sarebbe stata la nostra camera da letto. Eravamo partiti contro ogni pronostico, sfavoriti in partenza e spesso dati per spacciati. E invece eccoci lì. Da un notaio. Pronti a mettere una delle firme più importanti della nostra vita.

"Firma qui", la prima voce era del notaio, questa è del direttore di banca che dopo tutto il casino fatto per ottenere il mutuo non ne può più di aspettare.

"Amo, firma qui", stavolta è lei, Tilli, la mia compagna che mi invita a fare l'ultimo passo.

Vabbè firmo.

"Anche qui?"

"Sì."

Vabbè firmo. Firmo ovunque.

"Oddio, ce l'abbiamo fatta davvero."

Abbiamo appena comprato la casa dei nostri sogni: una villa in collina, con tante stanze, finalmente un posto dove poter lavorare che non sia sotto la cappa della cucina. Un giardino di 5000 mq, con dozzine di alberi che guardano il mare.

Casa. Non ho fatto in tempo a mettere una targa all’ingresso. Le volevo fare una sorpresa. Sarebbe tornata e avrebbe visto una targhetta accanto al cancello. “Villa Tilli”, le avrei fatto scrivere. Ma non sono arrivato in tempo.

Sapevamo fosse un traguardo ma anche il punto di partenza. Celebrando il successo, sapevamo cosa ci sarebbe aspettato. La gioia di passeggiare per una casa finalmente nostra, la libertà di arredarla e sistemarla senza quella nota amara del "sì, ma magari tra un anno ce ne andiamo". Ma anche la responsabilità e i sacrifici che ci aspettavano per fare fronte a un investimento così importante. Sapevamo fosse un altro inizio. Non immaginavamo che vi fosse una fine.

È successo un giorno come gli altri. Senza preavviso. Senza nessun campanellino d'allarme. Una giornata monotona, dopotutto. La notte del 2 maggio, neanche un mese dopo. Sei lì spensierato che bevi una birra. Che scherzi e ti prendi per il culo come sempre. Noi stavamo giocando a biliardo con i bambini; un biliardo in salotto, altro sogno realizzato. E poi succede.

"Mi sento male."

E poi capisci che c'è qualcosa che non va. E poi, in un attimo, ti ritrovi dietro la porta di un reparto di rianimazione. Un attimo ancora e una ragazza gentile, un medico, ti dice che c'è stato un problema e stanno iniziando le operazioni manuali per il massaggio cardiaco. Un attimo ancora e ti dicono di accomodarti perché ti devono parlare. Un attimo e ti dicono "fine", non c'è più niente da fare, che la storia si interrompe lì, in una serata qualsiasi. Anche se non te lo aspettavi e mai ci avresti pensato. …

Questa newsletter è iniziata da lì. Da quella notte. Da me che torno a casa a dover dire ai miei figli "Mamma non c'è più". Buona parte delle cose che trovi qui parlano di questo. Di me che cerco di dire ad alta voce cose che ancora non riesco a capire, ad accettare. Di altri che mi danno consigli, buoni o del cazzo, che non riesco a seguire. Del fatto che tutti mi dicano "non ci sono parole", ma io ne ho bisogno. Le voglio cercare e ci provo tra i tastini di un Mac.

"La persona vuole salvarsi, lo scrittore vuole guardare dentro l'abisso" dice a un certo punto Matteo Bianchi, nel suo libro "La vita di chi resta".

Parla di me. Da piccolo sognavo di fare lo scrittore. Mandavo racconti a destra e sinistra e mi immaginavo lì nel Maine, accanto al mio collega preferito, Stephen King ovviamente. Poi mi sono presentato al mondo come "scrittore", e non è successo un granché. Alla fine con le parole nonostante tutto ci ho comprato casa.

E poi eccomi adesso, nel momento più buio, a capire che uno "scrittore" lo sono davvero. Perché c'è gente che vuole solo salvarsi. Non pensare, dimenticare, non parlare.

E altri che invece non possono che sporgersi e guardare l'abisso. Questa newsletter, per buona parte, guarda l'abisso.

"Provarci" (Dove si dirige questa newsletter, e cosa aspettarti)

Quasi cinquecento giorni dopo, sono ancora qui. A fissare l'abisso e raccontarlo. Ma pian pianino inizio a guardare anche altro. Quello che resta.

Quello che resta. Tanto. Tantissimo. “Un botto”, come direbbe Giorgina, la “figlia di mezzo”.

La piccola Cami, adesso quattro anni, tra poco cinque. Che ha tolto il pannolino e usa sempre meno il ciuccio. I ragazzi, 12 e 14 anni, che nonostante tutto non hanno perso la voglia di sorridere, di sorprendersi e di farmi impazzire. Noi che andiamo avanti. Una famiglia di pazzi. A pezzi sì ma che non ha perso l'incoscienza e la follia nell'affrontare la vita. Il lavoro. Che progressivamente ha perso significato. Ma giorno dopo giorno ne trova di nuovi. La scrittura. Che se sei sincero ti fa male, ma ti può anche salvare.

Occhi nuovi. Quelli di chi ha capito quanto sia vera quella frase che Palahniuk piazza in Fight Club come un gancio improvviso: "su una linea temporale abbastanza lunga, il tasso di sopravvivenza di tutti scende a zero". Che "porca troia quanto è vero". "Porca troia non sai mai cosa significhi 'abbastanza'." Non sai mai quando quella linea si interrompa.

La seconda parte del viaggio, di questa newsletter, parla di queste cose qui. Di cose delle quali nessuno vuole (apparentemente) parlare. Di cose che ti lasciano senza fiato. Di vita, morte, lutto, amore. Di perdite e conquiste.

Parlerà ancora di Lei.

Parlerà ancora di me, dell'abisso.

Ma cercherà di parlare soprattutto di NOI.

Di umani che non sono affatto forti, perfetti, invulnerabili, ma nonostante tutto provano ad andare avanti.

Io, Davide (Chi sono)

40 anni, tre figli, quattro cani, un mucchio di storie. Lavoro con le storie.

Penso, scrivo e lavoro dalla Sicilia. In un piccolo paesino tra montagna e mare in compagnia di tre figli e quattro cani. In passato sono stato un ghostwriter, un oste, un addestratore cani, un venditore porta a porta, un giocatore di poker, un consulente strategico per diverse aziende globali; e qualcosa sicuramente sto dimenticando. Ho pubblicato due libri, altri sono nel cassetto (vediamo), e altri ancora, tanti, li ho aiutati a vedere la luce. Piango ancora se penso che Baggio non gioca più. Mi irritano quelli che sanno tutto, le ricette facili per il successo e le definizioni stereotipate del successo. Per come la vedo io, su questa terra, siamo tutti a cercare ancora di capirci qualcosa.

* A seconda del periodo dell’anno, mi trovi con i capelli corti, o lunghissimi.
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People

40anni, 3 figli, 4 cani, un mucchio di storie. Molte meravigliose, altre difficili, come una vita divisa con una donna che adesso “non c’è più”. Conosciuto anche come #davicardi. Thinking Partner per autori, coach, speaker e altri umani coraggiosi.