"Togli il tag 'fiction', amico. Fidati."
"Da quando l'ho fatto, i numeri sono impazziti!"
"La gente vuole storie vere. Anche inventate, ma vere."
Un messaggio. Tre frasi. Un buffet della verità servito freddo.
Lo schermo del computer mi fissa come un buttafuori annoiato. Il caffè dimenticato accanto al mouse. In Canada, da qualche parte, un tizio ha appena scoperto il trucco definitivo: fingi che la tua finzione sia realtà. Geniale perché funziona. Tragico perché è proprio questo il problema.
La sintesi di tutto ciò che ho vissuto negli ultimi due anni.
Unfiction
Maggio 2023. Ho da poco avviato questa newsletter. La scrivo a caldo, non sono passate che due settimane. Il primo pezzo è "Mamma non c'è più".
Tre minuti: 87 like. Dieci: 233. Venti: 548 e 43 commenti.
Un'ora dopo: era andato virale.
Notifiche e messaggi che non la smettono più. Sudo freddo. Una cosa mia, intima, adesso sul bancone. Maneggiata, affettata, pronta da consumare.
Ho appena trasformato la mia storia in una storia. C'è un termine per questo: unfiction. Sono stato io, non qualcun altro. Anche senza saperlo.
Un tizio mi manda un vocale. Ride. Sinceramente divertito. "Mamma non c'è più". "Bellissimo. È a puntate?"
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D'altra parte, chi sapeva fosse tutto vero, ne voleva di più. Le richieste iniziano a scalzare i cuoricini lampeggianti.
"Dovresti scrivere un libro" inizia a comparire sotto ogni post.
Sei mesi dopo, verso fine 2023, inizio a pensarci. Centinaia di pagine buttate fuori. Qualche mail in giro. Risposte degli editori. La più concreta: "Un finale inaspettato? Magari una nuova compagna..."
Un altro, incontrato su Zoom, senza volto come negli anni 2000. "Ma possibile che non c'è una scena di sesso che possiamo inserire?" Una voce metallica che mi chiede sesso.
Non rispondo. Silenzio. Imbarazzo. Ma anche il tempo di fare i conti: quante copie potrei vendere? Cosa mi porto a casa?
Amateur, Milf, Autentico…
Porno insomma. Amatoriale — inquadrature tremolanti, audio imperfetto, ambientazioni quotidiane — prodotta con mezzi professionali.
Come diceva il regista nel Truman Show: "Non sarà sempre Shakespeare, ma è autentico". E funziona. Basta guardare i numeri. Come sempre:
Post sul vuoto nel letto: 800 cuori.
“Manchi” con noi che ci baciamo: 3250 commenti
Analisi sul mercato dei creator: 27 like.
Abbonamenti Substack in un anno di questa newsletter: 500 euro.
Pulsante PayPal "dammi una mano", inserito in questa newsletter, nello stesso periodo: 1250 euro.
Su GoFundMe "mio padre è morto…", in cinque giorni: 92.000 euro.
Non è un bilancio economico. È una bilancia da macellaio. Calibra il peso esatto della carne che metti sul piatto e quanto il mercato te la pagherà.
Editing dell'anima
Flashback sul flashback. Per il primo mese posto su Instagram a mezzanotte. Un orario non da Instagram. Ma funziona. Dopo una settimana non è più una mia abitudine, è un palinsesto. Se tardo di qualche minuto, i direct si intasano.
"Tutto ok?" "Stasera non ci racconti niente?"
Scheherazade versione digitale. Un jukebox pagato a like. E dire che avevo iniziato io...
Una sera invece sgarro in modo diverso. Mezzanotte, sì. Post, sì. Voce forte e spezzata, sì. Ma argomento leggermente diverso. Primo commento: "Scrivi bene ed è bellissimo leggerti. Però più che riflessioni sulla vita è bello leggere della vostra storia."
Quando smetto del tutto, una tempesta di messaggi. "Mi manchi!" "Ci racconti qualcosa?"
Delusione. Da un lato.
Dall'altro grande soddisfazione. "Era ora". Un collega. Che da tempo insisteva che la smettessi. "Se scrivi queste cose come pensi che ti possa chiamare un cliente?" mi diceva ogni sera.
Professione: un mercato. Dolore: un altro. Incompatibili. Inversamente funzionali.
Mercato rosso o mercato blu?
Ogni giorno una scelta.
Cursore galleggiante sullo schermo.
"tilli-ricordi-dolorosi.docx", "analisi-mercato-contenuti.docx"
Primo file: "Le sue magliette non sanno più di lei. Non dovevo lavarle." Secondo: "La letteratura della vulnerabilità rappresenta l'evoluzione più recente del personal branding."
Sta succedendo anche adesso. Con questa newsletter qui.
File aperto: "newsletter_draft_17.docx". Titolo: "Scrivere Nudi". Evidenziato in giallo. Canc. Mi viene in mente e lo scrivo: "OnlyTrue". Più immediato. Suona meglio. Un paragrafo evidenziato: "So che qualcuno potrebbe pensare" ... Canc. Lo direi. Non lo leggerei. Via. Più in basso nella pagina: "Mi sento come se mi stessi vendendo a pezzi e, peggio, come se fossi io a stabilire i prezzi." Ma quando l'ho scritto? Melodrammatico. Via.
Mercati diversi, sanguinamenti diversi
Ogni giorno così. Da due anni.
23:07 - Invio un pezzo sul vuoto nel letto. 23:08 - Prima notifica. 23:11 - Quindicesima notifica. 23:17 - Telefono in vibrazione continua. 23:22 - Primo messaggio privato: "Mi hai fatto piangere." 23:28 - "Mi hai dato forza." 23:33 - "Posso condividere la tua storia? Abbiamo 70k follower." 23:45 - Ti andrebbe di tenere un corso di scrittura terapeutica? Va avanti così tutta la notte. Le notifiche continuano. Io mi svuoto.
Giorno dopo. "Empatia digitale: un'analisi critica". Silenzio. Un'eco. Una notifica ogni tanto. "Riflessione interessante," mormora qualcuno. "Apprezzo la lucidità," asserisce un altro. Sto dicendo la stessa cosa, si tratta sempre di umani in mezzo al caos e che in qualche modo cercano la strada nel sistema. Ma niente. Poco. Nessuna tempesta. La quiete.
Due banconi al mercato della carne. Uno: bistecche sanguinanti. L'altro: filetti delicatamente affumicati. Entrambi miei. Entrambi con un prezzo diverso. La mano che taglia è sempre la mia.
Mi disgusta. A volte mi affascina. Ci sono dentro. Se hai un mutuo e qualche genere di responsabilità ci sei dentro per forza.
L'altra faccia del macellaio
Eppure non tutto è manipolazione. Non tutto fa schifo. Ho iniziato a scrivere per non impazzire. Non mi ha guarito ma mi ha aiutato. E a quanto pare ha aiutato altri. In modi che nemmeno mi aspettavo. "Sono due anni che sembro pazza a dire certe cose... è morto mio marito, leggerti mi fa sentire meno sola".
Ogni messaggio una fitta. Un rigurgito di dolore ma anche qualcos'altro: gratitudine. Sorpresa. Aver aiutato qualcuno. Bello. Ma dura poco. Non risolve, complica. Il dilemma si stratifica: condivisione genuina e strategia. Connessione umana e conto dei click. Una accanto all'altra. Cosa aiuta cosa?
Ci penso ma mi vengono in mente solo immagini. Spot della sicurezza stradale. Corpi mutilati. Immagini shock sui pacchetti di sigarette. Quell'ads che mi perseguita quando per sbaglio apro Facebook: "fallo per i tuoi cari" - con immagine che evapora e una famiglia che piange - "stipula una polizza vita".
Non so distinguere dove finisce l'uno e inizia l'altro.
Il destino di Bridget Jones
Culo di fuori, orecchie da coniglietta, Bridget Jones che pensa di recarsi a una festa a tema squillo. Solo che hanno cambiato idea all'ultimo e sono tutti vestiti eleganti. Rimane lei con il culo di fuori e le orecchie da coniglietta. E il suo imbarazzo.
Ho usato questa scena in una delle prime newsletter. Luglio 2023, due mesi dopo. Le persone iniziavano a reagire ai miei racconti. Mi scrivevano, mi supportavano. "Fai bene." "Aiutano le tue parole." E io raccontavo di più. Sino a quando non mi sono reso conto di essere nudo. Alla festa sbagliata. Di essere Bridget.
Due anni dopo, oggi, non sono più Bridget Jones in costume da coniglietta alla festa sbagliata. Sono Bridget Jones che ha firmato un contratto per un reality show sul suo imbarazzo, sorridendo nervosamente alla telecamera mentre finge di non sapere di essere ripresa.
Il regista sono io, il copione l'ho scritto io, ma continuo a recitare la parte di chi è sorpreso dagli eventi. È una performance più sofisticata, ma non meno costruita. E se all'inizio era l'imbarazzo di una donna svestita in un contesto inadeguato, ora è l'imbarazzo di chi sa di stare recitando l'imbarazzo per un pubblico che apprezza l'autenticità dell'imbarazzo. Le orecchie da coniglietta ora sono un marchio registrato.
Non è solo un gioco di specchi. È un sistema economico. Per ogni lacrima genuina, c'è un conteggio di visualizzazioni. Per ogni vulnerabilità esposta, c'è una metrica che misura il suo valore di mercato. E più sono consapevole di questo sistema, più il sistema premia la mia consapevolezza trasformandola in un prodotto ancora più sofisticato.
Due tipi diversi di vergogna. Dopo aver scritto del dolore nudo, mi vergogno di essermi esposto troppo. Dopo aver scritto della mia consapevolezza dei meccanismi dell'esposizione, mi vergogno di sembrare calcolatore.
Due tipi di nudità, stessa sensazione di aver sbagliato festa.
Algoritmi umani (più o meno)
"Scrivi con la porta chiusa, correggi con la porta aperta." Uno dei consigli d'oro di Stephen King. L'ho sempre ascoltato. Ma qui il rischio è che apri la finestra e finisci per cedere a quella roba lì: "Togli fiction. Metti sesso. Venderà."
Mi serve un filtro esterno. Un sistema per discriminare tra autentico e strategico. Almeno per provarci.
È anche per questo che mi sono creato un'AI Cinica. Claude, Chat Gpt, Gemini, mischiati insieme per massacrare i miei pezzi. Ho pensato di salvarmi.
INPUT: "Analizza questo paragrafo sul dolore: 'La notte scorsa ho pianto con la sua maglietta stretta al petto. Il tessuto ormai non profumava più di lei, ma di me. Di lacrime accumulate. Di notti insonni. Eppure continuavo a tenerla stretta, come se il tessuto potesse ancora contenere qualcosa di lei.'"
OUTPUT: "Taglia la parte sulla t-shirt stretta al petto. È ridondante e melodrammatico. Concentrati sull'impatto sociale. Il lettore ha già capito che senti la mancanza. Non serve ribadirlo con immagini convenzionali."
Già. Senza t-shirt meglio.
Ogni click un negoziato, il cursore lampeggiante come un metronomo dell'autenticità calibrata. Lasciare solo ciò che sembra "autentico ma non eccessivo", "crudo ma non disperato", "riflessivo ma non pedante". Come i porno "amateur" prodotti con tre camere.
INPUT: "L'editor mi ha chiesto di aggiungere sesso al mio libro sul lutto."
OUTPUT: "È un'oscenità commerciale abbastanza brutale da farti sentire che stai leggendo qualcosa di vero. Mantieni questa frase nel testo - dimostra l'assurdità del sistema meglio di qualsiasi analisi."
Piccole dosi di verità calcolata. Finger food dell'autenticità. Il dolore in formato aperitivo.
INPUT: "Bozza completa. Che ne pensi?"
OUTPUT: "Il vero paradosso qui non è quello tra dire e mostrare, ma quello dell'autore che, nel tentativo di posizionarsi come critico lucido del mercato dell'autenticità, produce il più sofisticato dei prodotti di quel mercato. La tua lucidità è una merce, la tua critica è una strategia di marketing, la tua vulnerabilità è una performance."
Caffè, mi serve altro caffè.
INPUT: "Eh vabbè, allora?"
OUTPUT: "Hai smascherato il gioco, ne conosci le regole, i trucchi, le miserie. Tuttavia rimani lì a discuterne. Come un prigioniero che, invece di tentare la fuga, scrive un bestseller sulla vita in prigione, lucidissimo sui meccanismi di controllo, ma alla fine contribuendo al fascino perverso della prigione stessa."
Fanculo. Laptop chiuso di scatto. Scatto in piedi. Passeggio per la stanza. La poltrona con la coperta di Tilli mi guarda dall'angolo. Pareti che si chiudono.
Mezz'ora a fissare il nulla.
Ok, mi sono calmato.
Ci provo. Mi arrampico. Ha ragione l'AI, ma nel suo essere giusta perde qualcosa di fondamentale: la tensione costante di vivere dentro questo casino. Come correre una maratona contro un'auto. L'auto non suda, non sente dolore ai muscoli, non dubita di arrivare al traguardo. Anche quando coglie nel segno, lo fa senza la posta in gioco che rende umana la critica.
Mi viene in mente un'amica psicoterapeuta. Ogni volta mi racconta dei colleghi che condividono frammenti di terapia sui social, "anonimizzati" quel che basta per non violare la legge.
"Guarda qui. È un problema etico". Mentre parla, i suoi occhi scivolano verso il basso a destra, lo stesso movimento che faccio io quando controllo furtivamente le visualizzazioni di un post mentre mi lamento della dittatura dell'algoritmo.
Siamo tutti macellai al nostro stesso bancone, bilance tarate sul valore del sangue versato. A volte schifiamo il sangue di quelli accanto, altre invidiamo i loro incassi.
E quello che rende questa trappola così insidiosa è che funziona anche quando la denunci. Il sistema si nutre delle sue stesse critiche, trasformandole in nuovo contenuto commerciabile.
È come quando Miranda Priestly spiega ad Andy nel "Diavolo Veste Prada": "Tu credi di aver fatto una scelta che ti esclude dall'industria della moda, ma in realtà stai indossando un maglione selezionato per te dalle persone in questa stanza."
"Quel contenuto 'autentico' che credi di aver scelto, letto, scritto? L'abbiamo selezionato noi per te... da un mucchio di opzioni, tutte monetizzabili."
Resistenze di marca
Il messaggio con cui ho aperto questo pezzo? L'ho inventato.
Forse esiste, forse no, a chi importa. Sono io. Siamo noi.
Chiunque abbia a che fare con un lavoro creativo, chiunque abbia a che fare con un lavoro in generale. Chiunque abbia a che fare con cose umane in un sistema che tende a dividere sistema e umano, a proprio piacimento.
La verità che mi sono ripetuto mentre fissavo lo schermo: non esiste posizione di purezza totale per chi deve vivere del proprio lavoro. Quella purezza esiste solo nella testa di chi ha un conto in banca sufficientemente pieno da potersi permettere l'integrità come hobby.
Potrei immaginare più facilmente la fine del mondo che uscire da questo sistema. Fisher lo chiamava 'Realismo Capitalista'. L'AI cinica "scrivere un bestseller sulla vita in prigione invece di tentare la fuga". Io lo chiamo semplicemente 'Sì, è un casino'. Posso odiare il sistema quanto voglio. Ma protesto contro il fashion system indossando un maglioncino blu che non ho scelto io. L'unica cosa che possiamo fare: abbinarlo a qualcosa di nostro. Forse solo il modo in cui lo portiamo, storto e un po' sfilacciato.
L'unica cosa davvero autentica qui: questa tensione irrisolvibile, questo stare sulla soglia senza pretesa di trovare terreno solido.
Quasi finito. Cami mi passa accanto e inizia a parlarmi. “Papi…”
Mi fa ridere. E mi ispira.
Guardo lo schermo. Porto anche questa scena qui dentro?
Scrivo. Riscrivo. Cancello. Il dialogo con la bimba? Troppo facile, troppo costruito. Contrappunto perfetto. Lo cancello.
Non lo leggerai. Anche se è era vero.
Mi hai ricordato Carlo Monterossi, protagonista di parecchi romanzi di Robecchi: un essere Umano che ha la condanna di saper sceneggiare il trash che tira in TV, la macchina della merda.
Tu sai scrivere. Lo sapevi fare anche prima. A te trovare l'equilibrio tra scrivere ciò che ti fa stare meglio dentro e ciò che fa stare meglio le vostre economie.
L'hai detto: la purezza non esiste!
Se ancora ti poni queste domande, forse invece credi che la purezza esista (l'hai sperimentata? la stai ancora sperimentando?): so what? riuscite a vivere di purezza? hai un equilibrio migliore tra purezza e pancia piena?
Io, però, continuo a pensare che il salto dalla saggistica alla narrativa ti gioverebbe... (o forse gioverebbe a me lettore...).
Ti abbraccio 🤗
Ti capisco molto. A me hanno iniziato a chiedere di scrivere la mia storia (mia e di Federico) che non avevo ancora scritto niente. Ho lasciato passare 3 anni e mezzo prima di iniziare a scrivere la mia newsletter. Prima non mi veniva. Era tutto troppo fresco, non avevo abbastanza lucidità e distacco nemmeno per scrivere per me. Poi è morta N, e ho scritto una cosa di getto a mezzanotte, e l'ho pubblicata. Quando parlo di morte, ci sono sempre numeri impressionanti - anche quando lo faccio per RSI. Ci sto ancora ragionando su sta cosa. Sicuramente c'è una parte importante di pornografia del dolore e motivazionale (ci ho scritto, e vorrei parlarne ancora - perché quello che ho vissuto io è tantissimo questo). Ma come scrivi anche tu c'è anche empatia autentica. E bisogno di narrazioni di temi tabù come la morte e il lutto che contrastino la narrazione mainstream. Non conto più le volte in cui mi sono sentita sbagliata perché avevo voglia di fare sesso e invece intorno ci si aspettava che fossi la vedova inconsolabile. Non so, Davide, sono pezzi di carne e di cuore, ma a me sembra di prostituirmi meno raccontando di me che scrivendo per ricchi proprietari di aziende bianchi, etero, cis, con un paio di SUV in garage. Comunque ci rifletterò ancora, e per questo ti ringrazio.