Ci ho provato, ma alla fine niente. Non ci sono riuscito. Sono passati quasi due mesi dall’ultima volta che ho scritto questa newsletter e, per quanto ogni mattina pensassi di avere qualcosa di interessante da dire, dopo qualche minuto le parole apparivano tutte così monotone, inutili, banali.
Un po’ come molte delle ultime giornate da un po’ di tempo a questa parte.
“Che succede?” è invece la domanda che mi è stata fatta più spesso.
Una buona domanda, a volte affettuosa, ma alla quale non ho quasi mai risposto.
Anche le risposte mi sono sembrate quasi subito monotone, inutili, banali.
“Niente”.
“Sono stanco”.
Risposte elusive ma sino a un certo punto. In fondo anche vere.
Da quando è successo ho passato i primi due mesi in apnea, impegnato a risolvere questo e quel problema.
Molti li ho risolti.
E alla fine si è scoperto che questa è una buona cosa solo a metà.
Quando finisci la lista dei problemi da risolvere, quando ti accorgi che cose che pensavi di non riuscire a fare invece le fai e anche piuttosto bene, iniziano i problemi ancora più grandi.
Cose che solitamente suonano come un’altra domanda: “e adesso?”
Ovviamente non c’è tempo di annoiarsi e piccoli e grandi problemi li hai sempre a portata di mano. Solo che è diverso.
Sono problemi di “routine” e per quanto a volte non siano paragonabili a quelli del primo tipo - quelli urgenti e straordinari - non hanno appunto quelle caratteristiche di urgenza e straordinarietà che non ti lasciano tempo di pensarci su.
Tornando a casa quella notte avevo problemi come dire ai bambini “Mamma non c’è più”, vivere da solo in una casa su tre piani, reagire a pianti e crisi improvvise, tenere testa a una bambina di 3 anni che non sa bene cosa sia successo ma si ritrova in un mondo completamente nuovo. Gestire una casa, una famiglia, un lavoro, una vita. Da solo.
E come si fa?
Pensavo.
Per un mese, pur preparando la cena, non mi sono mai seduto a tavola a mangiare. Ho mangiato sul bancone bar, guardando i miei figli che tagliavano carne e arrotolavano spaghetti.
Mangiavo anche io. Ma non lì.
Non in quel tavolo da 4 dove ormai i posti fissi non contavano più.
Una sera in realtà ci avevo anche provato.
Giusto un secondo. Il tempo di sentire il dolore di un pugno allo stomaco che ti lascia senza fiato.
Oggi è diverso. Pranziamo e ceniamo tutti insieme.
Come una famiglia, giustamente.
Ma una famiglia alla quale a ciascuno manca qualcosa.
Pensavo di non farcela.
Pensavo di non sentirli più ridere e litigare per l’ultima fettina di torta. E invece no, rieccoci qui. Nonostante tutto ad andare avanti.
Come è naturale che sia, per carità.
Ma il punto è che le cose non sono così cambiate. Sono solo meno straordinarie. Sono solo più ordinarie.
Che poi è questo il problema.
Sopravvalutiamo lo straordinario, sottovalutiamo l’ordinario.
Ma la vita segue traiettorie diverse, più ordinarie. Almeno per quanto riguarda senso e significato.
Per due mesi almeno, ogni mattina, mi sono alzato ripassando il nuovo copione che mi era stato affidato.
Come qualcuno che si rompe una gamba ma ogni mattina deve ricordarsi di quel dolore, del fatto che per alzarci ci vorrà un pochino, che avrà bisogno di una o due stampelle.
E ogni mattina si alza.
E affronta la vita nella sua nuova situazione, straordinaria.
Ma un conto è alzarsi pian pianino e gestire una gamba ingessata, un altro è se a un tratto prendi consapevolezza che quella gamba non si aggiusterà più, che quella stampella sarà tua compagna per sempre.
La scintilla dello straordinario si affievolisce. Infine si spegne.
Rimane il sapore di fango e qualche briciola di stoicismo qua e là.
Anche questo è un problema.
Quando succede qualcosa che stravolge la tua vita sei chiamato a rispondere.
Così dicono i saggi, i film, gli autori motivazionali, i parenti, la vita.
Così ti dici anche tu guardando negli occhi i tuoi figli, pensando a quelli a cui tieni o a un co-destino da onorare.
E a volte, forse anche spesso, quando in gioco c’è tanto, ci riesci.
E fondamentalmente sei quello bravo che nonostante tutto va avanti.
Ma anche questo alla fine diventa un macigno.
Perché le giornate iniziano a essere tutte uguali, compiti in classe annunciati, senza neanche quel brivido di sorpresa.
Niente. Non succede niente. Niente di memorabile.
Niente di peggiore di ciò che sia già accaduto e che abbiamo affrontato, che stiamo affrontando.
Solo tutto più monotono, ripetitivo, ordinario ed estenuante.
Senza musica è così
In questi mesi, specie negli ultimi due mesi di “silenzio” (social), mi sono reso conto che le mie risposte deludono spesso le aspettative.
Le persone, anche in buona fede sia chiaro, si preoccupano per me.
Temono ci sia qualche grosso problema…
Ma si preoccupano ancora di più se non ci sono grossi problemi…
A volte non ho molta voglia di stare a spiegare.
In realtà non ci provo mai.
Oggi però ci provo: si sta così.
Si sta come un film al quale è tolta la musica.
Qui ad esempio un esperimento emblematico: Rocky con e senza musica.
Non sono sicuro se sia più impattante guardare prima la versione con la musica o quella senza, scegliete voi.
Il punto è che questo è il modo migliore per capire “che succede”, per capire come mi sento.
Vado avanti. Faccio cose. Mi “alleno”, corro, raggiungo persino qualche risultato.
Solo non c’è la musica.
Ed è tutto diverso.
(…dove si parla del non farmi sentire un idiota, e fare qualcosa in più…)
Ci sono quasi duemila persone che leggono questa newsletter. 🙏
È qualcosa di pazzesco, considerando anche i numeri di chi non solo ha cliccato “iscriviti” ma si prende davvero il tempo di leggermi. E molto spesso di rispondermi.
Come spesso ho detto e amo ripetere: mi fa sentire meno idiota nel condividere pubblicamente la mia vulnerabilità.
Spinto da questo affetto, avevo avviato anche un piano per sostenermi via Substack con un abbonamento. Ma non ha funzionato. E non credo possa funzionare.
Ogni abbonamento mi fa stare male. Perché in qualche modo mi riporta sul quel terreno del “ti do questo, tu mi dai questo”. E nella mia situazione non sempre riesco a garantirlo.
Quest’ultimo anno però mi ha insegnato che vivere il lutto richiede un tipo di forza e sostegno che va oltre.
Così come la possibilità di continuare a scrivere questa newsletter.
Per questo motivo, ho deciso di offrire un’opzione diversa: una donazione libera - una tantum, non ricorrente.
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Ad ogni modo, se sei arrivato a leggere sin qui, hai già fatto tanto. Poco o tanto che sia hai contribuito a farmi sentire meno solo. Meno idiota.
Davide, non ci conosciamo, sono arrivata alla tua newsletter un po' per caso.
E tutte le tue parole mi risuonano dentro, ogni volta, e rispecchiano perfettamente come mi sono sentita quando, improvvisamente, ho perso mia sorella, ben 12 anni fa. E ora, che ancora combatto contro questa mancanza, contro i se e i ma, contro il film senza musica, leggo queste parole e dico "Ecco, ecco come posso spiegare cosa è diventata la mia vita 12 anni fa, un film senza musica".
Io non ho consigli da darti, perché ancora oggi cerco di capire come si sopravvive "dopo". Quello che ho imparato è che si vive "nonostante" e che, anche se la musica non torna più, ogni tanto provo a canticchiare tra me e me quella colonna sonora del film, che ancora ricordo bene. Succede raramente, ma succede...e forse è così che si sopravvive.
Un abbraccio, anche se non ci conosciamo.
Claudia
Ciao Davide ti capisco perfettamente io ti ho scritto diverse volte ma ho sempre un pò paura di disturbare invadere degli spazi che sono tuoi anzi Vostri!
Capisco anche la bellissima metafora del film a cui hanno tolto la musica.....mi piace assomiglia ma solo un pò alla mia vita perché quella musica c'è ancora ma dopo più di 30 anni ha cambiato film!
Sono stata lasciata per un'altra...e questo giuro fa male....tanto perché lui c'è solo non è più con me....il vuoto è enorme mi sembra di vivere un pò come nella canzone di Massimo Ranieri Perdere l'amore quando si fa sera.....ma io voglio tirarmi fuori da questa situazione non è giusto nei miei confronti!
Probabilmente ci dovremmo volere più bene!!
Comunque io penso sempre a tutti Voi con tanto affetto e mi mancate Tutti!
Scusa se sono finita a parlare di me ....ma probabilmente tu sei una grande persona che sta facendo qualcosa di speciale tenendo unita una famiglia con dei bimbi ancora piccoli!
Con tanto tanto affetto
Barbara Andorlini