Farcela quando non pensi di farcela
Sassolini, influenze, maratone che non finiscono mai. Destino, e "co-destino"
Lo so, ci sono cascato di nuovo. Sono sparito. Ce la stavo facendo a dare continuità a questa newsletter e invece no, un'altra pausa. Altro traguardo mancato.
Chi mi conosce, beh, sa che è abbastanza da me. Non dovrebbe sorprendersi più di tanto.
Chi mi conosce meno mi ha scritto: "Che succede?"
Nulla. Nulla di grave. Nulla di nuovo.
Piccolissimi intoppi. Sassolini per strada che di solito non vedi nemmeno, non ti danno fastidio, figuriamoci se ti rallentano o possono fermarti.
Di norma.
A me invece ogni sassolino sembra sempre un macigno. Lo vedo, inizio a fissarlo tutto il giorno o comunque a ritrovarmelo sempre davanti e che non mi fa passare.
Oppure no, in fondo non è neanche così grave la cosa. Più che altro è lì e mi innervosisce. Vorrei avere tutto sotto controllo, vorrei poter giocare le mie carte in una situazione tranquilla, senza sassolini e complicazioni, ma non succede mai. E mi manda in tilt.
Sassolini di queste ultime settimane? Mi vergogno a dirlo… influenza.
No, non la mia.
Sì anche, ma ormai come mi piace dire in giro scherzando non mi ammalo neanche più. O meglio, non è così importante. Un Oki, due Oki, contare sino a tre e sono in piedi.
I ragazzi invece, più complesso.
Cami con l'influenza? Un disastro.
Da una settimana mi sento un buco in testa: tabula rasa proprio. Come un contenitore troppo pieno, nella mia testa non c’è spazio per altro che non sia a base di Clenil, Tachipirina, Augmentin 70…
Un'influenza?
Niente di trascendentale. Normale in questo periodo. Normalissimo per una bimba di 4 anni. Scontato per una bimba di 4 anni che va all'asilo.
Eppure per me significa andare in tilt.
Trattenere il respiro ad ogni colpo di tosse. Non dormire ascoltando se respira bene, se respira. Non dormire perché comunque lei non dorme, o si sveglia nervosa e non potresti comunque dormire più.
E poi organizzare piani straordinari per portare i ragazzi a scuola. Macchina preriscaldata da dieci minuti, staffetta di coperte, sistemazione al caldo sul seggiolone.
Che fai, te la porti?
E a chi la lascio?
Sono momenti come questi, banali, scontati, nulla di grave, che mi mandano in tilt.
Mi ricordano che sono solo.
Solo la sera a misurare la temperatura.
Solo la mattina dal pediatra.
Solo quando devo dire a un cliente che c'è stato un problema…
Già. Che scusa mi invento se ad esempio non posso lavorare per “colpa di un’influenza”?
Ogni volta mi sento maledettamente a disagio.
Vorrei avere una buona scusa. Un meteorite che ha colpito casa. Un fulmine che ha colpito in pieno le centraline elettriche di tutta la Sicilia. Qualcosa così. Qualcosa di importante. Non una semplice influenza…
E qui c'è la seconda cosa che mi manda in tilt. E no, a parte la mia ansia quando Cami sta male, il problema non è ovviamente l'influenza.
È la consapevolezza che ogni sassolino risveglia durante il percorso: è tutto così fragile.
Un amico ogni fine mese mi dice: "Dai che ce la fai, ce l'hai sempre fatta".
E io lo so che alla fine in un modo o nell'altro ce la faccio sempre.
Ma non per questo credo di essere forte. Non per questo va bene.
È tutto così fragile. Casuale, nel bene e nel male.
E basta sempre un niente per mandare tutto a puttane.
No, non va così male.
Ho vissuto periodi decisamente peggiori.
So di situazioni peggiori.
So di gente che "non ce la fa".
Farcela però non è tutto rose e fiori.
Ha un costo.
Finire una maratona, tagliare il traguardo, e trovarti al posto di un premio l'indicazione di un'altra maratona da correre, è maledettamente stancante.
A livello fisico, con le gambe che non ti reggono più.
A livello mentale, con lo stress che ti divora.
A livello emotivo, con quella domanda che per quanto ingoi salta su: "A che serve?"
Ce la facciamo?
Impegni, sfide e complessità non mi hanno mai fatto paura. Ho un'avversione al rischio direi quasi nulla. Il che spiega anche perché oggi mi trovo così nei casini.
Ma prima era diverso.
In un mare di guai ma andava bene. Anche lì finiva una maratona e ne iniziava un'altra. Ma prima c'era lei.
Ci fermavamo la sera pensando a tutte le cose che avremmo dovuto pagare, fare, risolvere. Ma ci dividevamo i pensieri.
Poi il segnale che basta, non dovevamo pensarci più, era la sua voce.
"Ce la facciamo?"
Io non rispondevo quasi mai. Sconsolato. Avvilito. Come sa che la sconfitta è inevitabile.
E lei continuava.
"Sì, ce la facciamo".
E all'improvviso tutte le mie paure sparivano come la polvere con un colpo di scopa. E sapevo che sì, ce l'avremmo fatta.
Ecco, è questo. Si tratta di questo. Non è tanto il livello di difficoltà. È la modalità "unico giocatore".
Questo mi stanca, mi spiazza, e a volte, a volte mi blocca.
A volte basta un'influenza per ricordarmelo.
Domande
Giorgina la sera dopo cena inizia con le sue domande filosofiche. Sul senso della vita, sul suo di senso della vita, sui suoi progetti, e sì anche sui miei. Sono bei momenti. Li adoro.
Se ne accorge, e allora per farmi rendere conto di quanto sia fortunato mi dice: "Ma se non avessi avuto figli cosa avresti fatto?"
Ah, se non avessi avuto figli. Chissà.
Di sicuro, in questo momento non sarei qui a scrivere, a pensare, a capire come andare avanti. Sarei da qualche parte nel mondo convinto che “ormai” vale tutto. Che ho tutte le scuse del mondo per fregarmene di cosa si dovrebbe fare. E fare solo ciò che avrei voglia di fare, spesso niente.
Ma non è così.
Fortunatamente.
E mi torna in mente quella scena vissuta centinaia di volte. In cucine buie, salotti ammobiliati alla buona, depositi commerciali.
"Ce la facciamo?"
Io non rispondevo quasi mai. Sconsolato. Avvilito. Come sa che la sconfitta è inevitabile.
E lei continuava. "Sì, ce la facciamo".
E all'improvviso tutte le mie paure sparivano come la polvere con un colpo di scopa. E sapevo che sì, ce l'avremmo fatta.
Tempo fa lessi di un concetto molto bello e intrigante: co-destino. È un concetto non banale, che sicuramente uso in modo improprio, ma mi piace pensare come il destino che unisce due persone anche quando una delle due non c'è più.
Avevamo sogni, progetti. Banali, folli, di ogni tipo.
Avevamo un piano per certe cose. Procedure di emergenza e sopravvivenza, nel gestire le cose. Manuali di vita informali, non scritti ma per noi chiarissimi.
Non si poteva sbagliare.
Per intenderci, il giorno del funerale, Niki venne da me vestito di mille colori, non so chi avesse comprato qualcosa per lui e per quella giornata…
Mi venne da dirlo di getto: "Se vieni così, tua madre ci ammazza…"
Alla fine scoppiammo tutti a ridere, e piangere, ma venne in chiesa vestito decente.
Ecco, sono queste cose qui che hanno a che fare con il co-destino. Un legame che va oltre.
Oltre il tempo. Oltre chi non c'è più e chi invece resta.
Oltre piccole, piccolissime o grandi difficoltà.
Che ti aiutano a farcela quando non pensi di farcela.
Oggi sentivo il bisogno di scriverlo.
Di ricordarmelo.
…
Ma non solo questo.
Co-destino
Penso possa essere uno spunto sul quale ragionare. Si dice sempre che al variare delle situazioni, possano (o debbano) cambiare anche le nostre azioni, idee, decisioni. Vero, ha molto senso.
Ma forse non è una regola da seguire sempre.
A volte ciò che “hai promesso”, che vi “siete promessi” o anche che “ti sei promesso” è la strada da seguire. Anche e soprattutto quando è tutto in salita, quando le cose non sono andate secondo i piani. E quando pensi di non farcela.
Per oggi è tutto. Prossima settimana spero Cami si rimetta in forma, e di tornare qui con qualcosa di più interessante :)
EXTRA (Che cosa hai letto e come fare qualcosa in più)
Un papà, tre figli, mamma non c'è più. La vita continua, dicono. Il mondo non si ferma. “Ok. Ci proviamo”. Questa newsletter racconta storie che molti preferiscono tacere. Cose che sembrano indescrivibili e per le quali si dice “non ci sono parole”. Ma ci sono. E parlano di respiri mozzati, di quando ti manca il respiro. Di vita e morte, lutto e amore. Di esseri umani. Non eroi, non invincibili. Che provano ad andare avanti. Insieme.
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Questa volta ti rispondo da qui. Meglio, non ci sono risposte perché quelle te le puoi dare solo tu, Davide, continuando a scrivere e a buttar fuori tutto quello che ti brucia. Non si tratta di giusto o sbagliato: tutto ciò che stai vivendo fa parte di ciò che sei ora. Tutto ha un senso e il senso sarà quello che troverai tu. Forse , l’unica cosa che mi vi viene da dire, è che non sei tu padrone del tuo dolore. Non ancora ma arriverà anche quel momento, arriverà.
Hai tanti tifosi che ti accompagnano virtualmente nella tua battaglia in modalità singolo giocatore. Un grande abbraccio e se hai bisogno di qualche dritta su come destreggiarti con il Clenil et Similia, fai un fischio!