Due euro di resistenza
No ideas but in things. La resistenza delle cose, e quella degli umani.
Ora del decesso: le 11.
La macchinetta per rollare è morta.
Venerdì sera. Fuori pioveva a dirotto. Freddo di maggio, quell'assurdità climatica che ti fa sentire tradito dalla primavera. Stavo scrivendo al pc, come sempre. Clic.
Un piccolo scatto secco. La cerniera che cede, un pezzetto di plastica trasparente che si stacca e salta sul pavimento. Il cilindro che non tiene più. Fine dei giochi.
Ho tentato di ricomporla, come si fa con le cose rotte che non vuoi accettare siano finite. Incastrando pezzi, tenendo premuto.
Ma niente da fare. È morta. Anche lei.
L'apprendistato impossibile
Aveva tre anni. Ed era stata la quarta o la quinta ad entrare in famiglia. Una storia iniziata una decina di anni fa, quando a un certo punto i soldi per le sigarette non bastavano più e da qualche parte bisognava tagliare.
"Avete idea di quanto potreste risparmiare ogni anno?" "Capite quanto male fa..."
Sì, sapevamo. Ma non ci interessava.
Trovammo un modo diverso. Passare al tabacco.
Da anni qualcuno aveva rotto il tabù. Se rollavi una sigaretta in un bar gli sguardi diventavano sempre meno curiosi. La polizia non ti fermava per farti storie. Una volta su tre, non sempre.
Iniziammo anche noi.
Tabacco, cartine, macchinetta per rollare. Che faceva meno tossico e fumavi qualcosa di più simile a una sigaretta.
Io però non ho mai imparato.
Ci provavo e mi si aprivano in mano con il tabacco che cadeva come un sushi ancora caldo. Granelli marroni ovunque, sulla felpa, tra le dita, sulla tastiera del computer. La cartina talmente umida che iniziava a dissolversi.
"Cazzo, ma è impossibile!"
Rideva. "Fai così, guarda." Le sue dita si muovevano sicure, rapide. Un gesto ipnotico, preciso, sempre uguale.
Risultato perfetto. Cilindro compatto, regolare, come uscito da una fabbrica automatizzata.
"Ecco, facile no?"
Ci provavo io, un disastro.
"Sì fai tu, va. Ora vado e mi compro un pacco di Marlboro e fanculo."
"Ma no è semplice. Guarda qui."
Guardavo. Tutto attento, come quando a scuola sai che non puoi più sbagliare e non vuoi perderti neanche un passaggio. Ma niente. Ho sempre avuto un qualche deficit nelle cose manuali. Vedo, non capisco. Capisco e non riesco. Ci provavo. Sempre il solito disastro.
"Fanculo. Falle tu."
E infatti negli ultimi dieci anni della nostra storia, "amo mi fai una sigaretta" o anche solo un gesto mentre ero al telefono hanno scandito le nostre giornate.
Quando partivo per lavoro e dovevo mancare una settimana era una tragedia. La mancanza, sempre sofferta. Da casa, dai bambini, da lei, da lei che mi faceva le sigarette.
Mi preparava un malloppo di sigarette che si sfracellavano quasi subito. Le mie valigie all'arrivo contenevano camicie e jeans al tabacco, con filtri sparsi.
Compravo le sigarette. Che tra l'altro dopo che ti abitui al tabacco non ti piacciono neanche più.
Cose che impari da solo
Due anni che Lei non c'è. Ho imparato. Ho dovuto imparare. Come tante altre cose.
Non ci penso spesso, altrimenti impazzirei.
Ma ogni sigaretta che fumo. Ogni dose di nicotina, tabacco e catrame che ispiro è accompagnata da altro. Un rituale. Il ricordo di un rituale.
Ogni volta che una sigaretta riesce bene, e direi che sono diventato abbastanza bravo, è "Oh Tilli, guarda ci sono riuscito".
Anche se negli ultimi mesi, con quella macchinetta invecchiata, è diventato sempre più difficile farle bene. Sempre più complicato. Sempre più tabacco e pezzi di plastica che si mischiavano. Lembi di plastica da tenere inserendo la cartina. Poi "clic" e ho dovuto accettarlo: non c'è più niente da fare. È morta.
L'inventario della mancanza
11 di sera, piove a dirotto e non so come fumare. Ma come esco con questo tempo?
Per arrivare a un distributore e prendere un pacco di sigarette ci vuole mezz'ora. Cami non posso portarla con me, già è raffreddata. I ragazzi proprio oggi si sono addormentati presto. Vabbè resisto. Andrò a letto.
Ma non si riesce mai a dormire quando ti manca qualcosa.
Mi alzo. Ricerca notturna di una qualche sigaretta abbandonata. Prima tappa l'auto. Lì negli anni ho sempre trovato ciò che mi mancava: monetine, e sigarette che finiscono sotto il sedile. Che non ti accorgi ti siano cadute o forse inconsciamente fingi in modo da trovarle quando servono.
Ma niente.
Ho girato tutta casa.
Cassetti, mobili, mobili spostati per vedere se ci potesse essere finita sotto.
Poi ne ho trovata una.
Una Merit accartocciata ma ancora viva. Quasi.
Nello sgabuzzino, che da noi significa una stanza con cose ammassate a caso. Valigie, vestiti vecchi, giocattoli mezzi rotti, una macchina da scrivere, una dozzina di scarpe da donna e una ventina di borse. Era lì, spuntava proprio da una borsa. Sembrava mi guardasse, sembrava aspettasse me e che fossi in ritardo a un appuntamento.
Un brivido di commozione. Astinenza da nicotina e il pensiero che lei mi aiuti ancora quando sto crollando.
Sono sceso saltellando per tornare al pc. Ho fatto un caffè per gustarmela meglio. L'ho avvicinata alle labbra per sentirla prima di accenderla.
Mi sono goduto l'attesa. Il gusto prima di una tirata. Ma mi è salito un motivetto che cantava sempre. Proprio quando finivamo le sigarette e lei magicamente ne tirava fuori una perché le nascondeva per queste occasioni.
Ci sono le tue scarpe ancora qua ma tu te ne sei già andata
C'è ancora la tua parte di soldi in banca ma tu non ci sei più
C'è ancora la tua patente rosa tutta stropicciata
E nel tuo cassetto un libro letto e una Winston blu
L'ho...
Ho immaginato la nicotina che mi riempiva i polmoni, la dopamina che esplode nel cervello di un uomo in astinenza, la carta che brucia lentamente, il rosso che diventa vivo, la cenere che cade stanca, un mozzicone che finisce nel posacenere, che poi viene svuotato e poi non ci sarà più.
Non ce l'ho fatta. Non l'ho fumata.
Ho ingurgitato un quintale di caramelle di liquirizia che chissà quando avevo comprato proprio per smettere di fumare.
Mi hanno devastato.
Ansia, astinenza, e dolore di stomaco.
Il rumore delle cose
Tre del mattino. C'è silenzio. Solo il rumore delle cose.
Cose:
Una macchinetta per rollare rotta sul tavolo
Una Merit accartocciata trovata in una borsa, lasciata in una borsa
Un paio di scarpe da donna che nessuno indossa più
Un libro letto a metà sul comodino
Cose che raccontano cose:
Una mano che rolla sigarette
Un motivetto canticchiato sotto la doccia
"Amo mi fai una sigaretta?" detto mentre guardo il telefono
Troppo spazio dentro il letto
Cose che diventano altre cose:
Una macchinetta che diventa custode di memoria
Una sigaretta accartocciata che si trasforma in reliquia
Una sigaretta fumata solo nell'immaginazione, preservata nella realtà
Un oggetto da due euro che diventa resistenza
Cose che contengono promesse
Mattina. Otto in punto. Finalmente tabacchino.
"Un pacco di Marlboro... e..."
"E?"
"Eh... una macchinetta per le sigarette."
L'ho sognata tutta la notte, ma ora che sono qui quasi non riesco a comprarla.
Ora sono una accanto all'altra sulla scrivania.
Due macchinette per rollare sigarette. Due cose.
Cose che contengono ciò che è stato:
Una macchinetta rotta che ha rollato l'ultima sigaretta fatta da lei
Una macchinetta che ha forse ancora sue impronte digitali
Una macchinetta che ha visto me imparare a fare le sigarette da solo
Una macchinetta che mi ha abbandonato in una notte di maggio e mandato in astinenza
Cose che contengono promesse di futuro:
Una macchinetta nuova che aspetta il suo primo utilizzo
Una macchinetta che non ha ancora memoria, solo possibilità
Una macchinetta che imparerà il mio modo di rollare, non il suo
Una macchinetta destinata a rompersi, un giorno, come tutte le cose
Non le idee. Le cose
Quante cose raccontano le cose? Quanto contano, davvero, le cose?
"No ideas but in things", diceva William Carlos Williams. Nessuna idea se non nelle cose.
L'ho sempre presa come un consiglio di stile. E invece era una guida di sopravvivenza per questi tempi. Dove le parole si perdono, ma le cose restano. Dove le idee si replicano, ma le cose resistono. Dove stanno arrivando per il tuo lavoro, ma non potranno prendersi le tue cose.
Non le idee. Le cose.
Non ci restano che le cose per restare uniti. Per connettere passato e futuro. Per intrecciare storie. Per riconoscerci, tra umani. Per restare, umani.
Le cose che teniamo strette. Le cose che dimentichiamo in fondo a un cassetto. Le cose che ci ricordano chi eravamo, e chi non c'è più. Le cose che contengono un futuro che ancora non c'è.
Non le idee. Le cose.
Anche se a volte hanno il gusto amaro della frustrazione e la consistenza friabile di una macchinetta di plastica che ti si rompe tra le dita.
Extra (forse) interessanti
📌 “Se non lo dici, non lo capiscono. Se lo dici, lo ammazzi.”
Frase che mi accompagna ogni volta che scrivo.
Con questo pezzo, era un trapano in testa.
Perché non voleva essere (solo) un pezzo sul lutto.
Ma ogni volta che cercavo di spiegarlo… lo rovinavo.
Alcune cose vanno lasciate in tensione.
Come le sigarette non fumate.
Come i titoli non usati.
Ho voluto seguire questa strada, e non ammazzarlo.
📌 Il primo titolo era L’ultima cosa che ci rimane sono le cose.
Pulito, chiaro. Forse troppo.
Poi è arrivato Ora del decesso: le 11.
Più narrativo. Più vero.
Ma messo in oggetto suona clickbait.
E io non voglio che sembri un gioco.
Ho riscritto l’intero incipit per metterlo lì.
E poterlo usare.
📌 Cose divertenti: nella prima versione raccontavo che stavo scrivendo “con una birra ghiacciata accanto”.
Un dettaglio vero. Ma ci sta? Non stona?
Ho chiesto a una delle mie AI da battaglia, quelle che uso per domare le tigri interiori.
Sua risposta: “…a volte mi chiedo tu non sia un caso disperato.”
Per lei comunque ci poteva stare.
Ma l’ho tolto.
Sì, sono un caso disperato.
✉️ Scrivere, mentre succede.
Se ti è piaciuto questo dietro le quinte, potrebbe piacerti questa idea.
Sto pensando di aprire una nuova sezione di questa newsletter: Scrivere, mentre succede.
Uno spazio vivo, per chi scrive, accompagna, lavora con le parole.
Per chi si ritrova, si cerca, si perde, ogni volta, tra la voce che sente e quella che funziona.
Se ti va, lasciami un commento.
Serve a capire se può interessare.
E non ridurmi a chiederlo all’AI.
ma quanto scrivi bene mannaggia, grazie
Undici anni fa l'alluvione ci ha portato via qualche metro cubo di cose.
Ancora, ogni tanto, scopro qualcosa che manca.
Quante memorie ho affidato alle cose! Sono pentito...